MASCHERE E IDENTITA' PROFESSIONALE - Instituto de la Máscara
Formación Oficial en Salud, Arte y Educación. Es una institución que articula lo psicoterapéutico, lo corporal, el psicoanálisis, el psicodrama, lo grupal, la creatividad y las máscaras. Este entramado constituye una definición conceptual y metodológica. La máscara revela y oculta a lo largo de la historia humana, lo personal, lo cultural y lo social.
Instituto, Máscara, Formación, Salud, Arte, Educación, Psicoterapéutico, Corporal, Psicoanalisis, psicodrama, grupal, creatividad, conceptual, cultura, social
16476
portfolio_page-template-default,single,single-portfolio_page,postid-16476,bridge-core-2.5.1,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-theme-ver-23.6,qode-theme-bridge,qode_header_in_grid,wpb-js-composer js-comp-ver-6.6.0,vc_responsive
 

MASCHERE E IDENTITA’ PROFESSIONALE

Category
Testi
About This Project

Intervista a Mario Buchbinder (1) e Elina Matoso (2) A cura di Mario Valzania Traduzione di Laura Beltrami

Nei giorni 21, 22 e 23 maggio Metodi Srl e il centro di formazione P. Freire hanno realizzato un seminario formativo dal tema Maschere e identità professionale, ondotto dal dott. Mario Buchbinder 1. L’incontro ha lasciato una viva impressione in tutti i partecipanti per la profondità dell’esperienza, la metodologia utilizzata e la calda umanità di Mario che, insieme a Elina Matoso2, moglie e partner professionale da 25 anni, ci ha concesso questa intervista.

Quali sono le linee più importanti del vostro lavoro nell’Istituto della Maschera a Buenos Aires?

Mario: Le linee più importanti si relazionano con il lavoro psicoterapeutico, la cura, l’espressione, la formazione e l’arte. Il nostro lavoro si è sviluppato intorno a questi temi fin dal 1974 tenendo presente contemporaneamente il corpo, la scena, la parola, il gioco e la fantasia; in questo senso, pensiamo che, in un lavoro psicodrammatico, sempre è presente anche il corpo e che, in un lavoro sul corpo, sono presenti la parola o la scena. Questo è il nostro modo di lavorare, ad esempio, con pazienti psicotici o (pazienti) borderline, ma anche con organizzazioni e istituzioni; quello che cambia è la modalità tecnica del lavoro, che si adatta, di volta in volta, alle persone con cui ci troviamo.

Elina: Queste basi costituiscono un’identità: non ci sono campi distinti, ma campi che s’intrecciano e si legano fino a costituire una trama tra elementi creativi, scenici, gruppali, psicodrammatici e psicoterapeutici. Questo costituisce un’identità forte che crea diverse vie d’avvicinamento all’altro, che è l’obiettivo principale.

Mario: In questo, il tema della maschera è molto importante, perché caratterizza e dà nuovi significati a tutti questi campi. Esiste, da un lato, la maschera che chiamiamo maschera personale, quella fatta da diversi materiali, la maschera del carnevale e quella definizione di maschera che si estende fino al travestimento, dall’altro possiamo dare una definizione di maschera più complessa, secondo la quale la maschera è l’organo di superficie dell’ insieme delle relazioni sociali, includendo così nella definizione di maschera anche le idee, le teorie, il modo di essere e le abitudini. La maschera, mentre rappresenta una persona, contemporaneamente nasconde qualcosa di essa. Non troviamo un essere essenziale dato dalla maschera, ma piuttosto una successione di maschere: per questo, in un mio libro, parlo di «maschere delle maschere» che si succedono in un gioco interminabile che può dare accesso alla verità o alle verità. Tutto questo ha caratterizzato il nostro lavoro nell’Istituto della Maschera, dove abbiamo anche sviluppato una lettura critica della psicoanalisi attraverso il lavoro con il corpo, la scena e la parola.

Il vostro lavoro con la mappa fantasmatica corporale ha una relazione con la maschera fantasmatica gruppale. Possiamo dire che il concetto di maschera fantasmatica gruppale è un concetto che si avvicina al sociodramma?

Mario: Esiste una divisione classica tra emergente personale (psicodramma) ed emergente gruppale (sociodramma). Noi superiamo questa dicotomia con un tipo di lavoro che chiamiamo mappa fantasmatica corporale gruppale che serva a fornire una mappa della realtà e un mappa fantasmatica dell’attività del gruppo, nella quale si incrociano e si concretizzano i ruoli. A questo proposito aggiungerei che da una parte ci sono i ruoli e dall’altra le maschere, e le due cose non sempre coincidono. Parlando, per esempio, del ruolo del padre, possiamo trovare magari cinque maschere che evidenziano aspetti differenti: le maschere assolvono una funzione particolare, cioè sono come dei segnalatori, ovvero segnano, evidenziano punti significativi, come farebbe un microscopio, infatti diciamo che la maschera è la microscopia del ruolo.

Nell’ambito della formazione ci capita di lavorare sulle relazioni interne e la qualità di esse con gruppi reali e con organizzazioni. L’utilizzo dello strumento della mappa fantasmatica gruppale può portare in questo lavoro il livello della fantasia e del simbolico. Questo può costituire una chiave per conoscere più a fondo il gruppo e le immagini del gruppo?

Elina: Sì, perché l’obiettivo della mappa è porre il corpo al di fuori del corpo, in una
rappresentazione che può essere grafica o realizzata con maschere o con oggetti. Si rappresenta il proprio corpo o il corpo del gruppo in un altro spazio, ovvero si spazializza il corpo o il gruppo fuori dal corpo o dal gruppo, si evidenziano, attraverso il disegno o i teli, alcuni dati che forniscono una via per la comprensione delle dinamiche del gruppo, se si lavora in gruppo, piuttosto che delle dinamiche individuali se si tratta di un lavoro individuale. Per esempio: mi capitò di lavorare con un gruppo che era molto fermo e che non avanzava verso una maggiore connessione. Proposi loro di creare un corpo gruppale con le maschere: ognuno doveva porre una maschera che rappresentasse la sua idea di gruppo e le varie maschere dovevano formare un corpo. Il corpo poteva avere anche varie teste o molte braccia e così via. Quando finirono, notammo che questo corpo non aveva gambe e piedi, perché nessuno li aveva messi. Questo rivelò l’immobilità del gruppo ed è un esempio molto evidente. Pensando invece ad un caso di lavoro individuale, posso fare un esempio molto significativo: stavo lavorando con una persona con problemi di obesità e le proposi di rappresentare il suo corpo come se fosse la mappa di una casa. Mise delle maschere per la cucina, la sala, la camera da letto, ma non ne mise nessuna per il bagno: questa persona mangiava, ma non si svuotava. Questo mi diede elementi per lavorare sull’esplicitare, il lasciare uscire.

Mario: Una virtù dell’utilizzo della mappa fantasmatica gruppale è che, se da un lato permette di evidenziare i differenti ruoli che si giocano all’interno di un gruppo, permette anche di fornire una via possibile di espressione per poter accedere allo studio della strutturazione gruppale, con gradi minimi o massimi di mobilitazione affettiva: può prodursi una mobilitazione molto intensa o, al contrario, si può lavorare con livelli molto bassi di produzione affettiva.
Un altro esempio che si può fare a proposito del lavoro con la mappa, in relazione al sociodramma, è quello che facciamo quando in un gruppo arrivano persone nuove. Nella sessione precedente chiedo ai membri del gruppo che scelgano delle maschere che possano rappresentare coloro che arriveranno e che facciano una rappresentazione spaziale di come saranno questi «nuovi», utilizzando le maschere. In questo modo appaiono rappresentate le ansietà paranoiche, il rifiuto o l’accettazione e si può fare un lavoro su questi elementi. Facciamo poi la stessa cosa quando queste persone entrano realmente, per rappresentare come si sentono i nuovi e i vecchi membri del gruppo. È interessante notare che, se si crea un cerchio, si pongono al suo esterno sia persone che sono appena entrate nel gruppo, che persone che già ne facevano parte. Questo è utile per prendere coscienza della diversità, di chi «è dentro» e chi «è fuori». In questo senso la maschera diventa un oggetto ideale per rappresentare l’altro e il diverso che sono presenti nella propria soggettività, nella comunità e nel sistema ideologico.

Elina: È interessante anche accennare al tema della destrutturazione, dal momento che può sembrare che il lavoro con la maschera tenda a destrutturare l’integrità dell’individuo. Al contrario, non si produce un effetto negativo di rottura, ma si verifica una produzione di simultaneità delle sfaccettature di ognuno. La critica che ci viene mossa è, quindi, di portare alla frammentazione, ma in realtà il nostro lavoro consiste nell’integrare attraverso i frammenti.

Mario: A questo proposito farei riferimento al titolo del mio ultimo libro. La pubblicazione precedente s’intitolava «Poetica dello smascheramento. Cammino della cura»3 Lo smascheramentoè un tema chiave per poter conoscere i frammenti che compongono l’individuo e, a partire da essi, si può trovare una poetica per dar loro un senso. Però, dal momento che il mondo ha percorso molte vie di distruzione di reti sociali, distruzione di identità nazionali e di morte, decisi di chiamare il libro seguente «Poetica della cura»4: continuiamo ad affrontare il tema della destrutturazione, ma poniamo l’accento sulla ricostruzione.

Nel contesto del lavoro di formazione all’interno delle organizzazioni, mi sembra di poter dire che il concetto di alienazione è stato sostituito con quello di identificazione: esiste un solo mondo che è quello della tecnica e della produzione tecnica. Che spazio può avere il vostro modo umanistico di lavorare in questo contesto?

Elina: Questo è connesso al fenomeno della globalizzazione, che è qualcosa di totalizzante, poiché conduce all'»uno»: abbiamo tutti gli stessi vestiti, lo stesso tipo di consumi. La nostra idea è quella di recuperare l’eterogeneità e la diversità, per questo diamo importanza al recupero delle origini e della propria storia come modo per costruire identità. Un tema chiave, a questo proposito, è quello dell’immagine del corpo: se una persona non ha determinate misure, è fuori dal sistema, ma questo richiede alla persona uno sforzo molto alto. Nessuno può rispondere a questo «uno» ed è sempre in una situazione di carenza. Un autore argentino che vive in Messico, García Cantlini, dice che «tutti manchiamo di qualcosa, tutti siamo debitori, tutti siamo migranti» grazie alla globalizzazione. Tutti dobbiamo qualcosa perché questo «uno» è irraggiungibile.

Mario: Questo tema, in ambito filosofico, si relaziona con quello che alcuni chiamano onto-falloteocentrismo e crea la possibilità del totalitarismo e dell’integralismo, che sono due dei temi chiave in questo momento e riguardano il modo in cui bisogna essere in opposizione alla possibilità di recuperare le identità nazionale, regionali e personali. Noi riteniamo che la maschera può dare il senso della presenza dell’altro e del diverso: attraverso di essa, infatti, si può creare uno spazio di possibilità per la parola dell’altro, che a volte temiamo, perché l’altro si trova dentro ad ognuno dal momento che «siamo sempre debitori»; questo non è possibile nel contesto di una ideologia totalizzante dove l’altro non ha il permesso di essere. Il nostro lavoro consiste nel dare la possibilità a quest’altro di avere uno spazio nella cultura, attraverso la formazione, la terapia, il lavoro con il corpo e l’arte, intesa sia come poesia che come teatro. Tutto questo costituisce uno degli assi portanti del nostro lavoro.

Elina: Un elemento importante è che la maschera esagera, amplifica i tratti. Questo favorisce la conoscenza di aspetti deboli di dubbio, insicurezza, incertezza e conflitto che talvolta nonè possibile esprimere. Abbiamo detto che è difficile confrontarsi con il sistema e con l’alienazione, ma, quando si ha a disposizione qualcosa che accresce le potenzialità espressive, allora si ha una possibilità di riuscita maggiore.

Questo potere di amplificazione della maschera è anche qualcosa di catartico?

Mario: Noi riteniamo che si combini l’elemento catartico con la risignificazione, ovvero si combina il fattore affettivo, che proviene dalla catarsi, con quello ideativo, dato dalle idee che ognuno ha su di sé e la carica che queste idee posseggono. In questo senso, la maschera possiede una forza integrativa e creativa che potremmo definire, seguendo Moreno, catarsi di integrazione. Nella maschera si incontrano un potere affettivo e la possibilità di dare una forma e una determinata organizzazione e struttura a un impulso disorganizzato e talvolta caotico. Noi ci riferiamo, da un lato, a Wilhem Reich, il quale lavora sul livello del corpo, con i diversi tipi di corazze corporali, e sviluppa una metafora di tipo energetico; dall’altro lato facciamo riferimento a Lacan, che utilizza una metafora del significante, della lingua e della parola. Noi riteniamo che la maschera riesca a dare importanza sia alla catarsi che alla significazione, riunendo in sé i due tipi di metafore. Potremmo dire che la pratica è una sola, ma esistono distinti sguardi interpretativi che s’incrociano: nella prospettiva di Reich, potremmo interpretare i corpi, le corazze e il livello organico, in quella di
Lacan, la problematica dell’immaginario e del simbolico; l’importante è che queste diverse interpretazioni non costituiscono una maschera aggiunta e che l’interpretazione non nasconda l’intensità del gioco aperto dal lavoro con la maschera. Perché questo avvenga è necessario che esista tra corpo, scena, parola e poetica un equilibrio artistico che si relaziona con la novità che si genera della creazione di scene, parole e risignificazioni. In questa dinamica l’interpretazione gioca un ruolo molto importante ed è necessario dire che essa, come la parola, non è mai sufficiente: c’è sempre qualcosa che si colloca nell’ambito dell’indicibile e dell’irrapresentabile, spazio in cui noi lavoriamo molto, perché stiamo costantemente cercando di rappresentare ciò che è difficile rappresentare. Questo diventa più complesso quando lavoriamo nell’ambito di un’organizzazione, perché l’irrapresentabile di ognuno si gioca sul piano culturale, organizzativo e gruppale.

Le maschere sono oggetti con un potere, quasi sacri, ed è necessario trattarli con rispetto e attenzione. Qual è secondo voi la relazione tra maschera e terra e tra maschera e rito?

Elina: La maschera ha il potere di evocare il rito o può anche costituire il rito.Quando lo sciamano si mette la maschera è lo sciamano: esiste una sorta di gioco rituale che consiste nel creare e credere una situazione. Quando lavoriamo creiamo cerimonie e riti laici riferiti a quel paziente o a quel gruppo che danno un determinato significato alla maschera.

Mario: Per ciò che riguarda la terra, possiamo dire che essa è sempre presente. Nell’etimologia della parola uomo incontriamo la parola humus: l’uomo ha una relazione con la terra e anche nella Bibbia si dice che Dio creò l’uomo dalla terra. Una concettualizzazione che affronto spesso riguarda la relazione tra terra e cielo. Questo è un tema presente anche nel pensiero di Heidegger, secondo il quale la terra si relaziona con la biologia, con ciò che è sconosciuto, materno e finito, mentre il cielo
riguarda aspetti come l’infinito, il divino, la funzione del padre e il significato. Noi siamo costantemente in interazione tra questi due poli, perché alcuni nostri aspetti sono esclusivamente biologici e altri sono solo spirituali: le idee non avrebbero nessuna importanza se non ci fosse la terra, e la terra sarebbe perduta se non avesse lo spirito. La maschera è un luogo di unione perchéè costituita da un materiale determinato ed è come terra incarnata e spiritualizzata.

Elina: La terra si mette in relazione con il corpo e il cielo con l’anima. Ciò che c’è di terreno nella maschera è il fatto che essa si materializza in qualcosa, occupa uno spazio e ha una forma, ma da questo si sprigiona uno spirito, di un dio o di una persona. Quindi, nella maschera si legano questi due territori della condizione umana.■

 

(1) MARIO BUCHBINDER, medico, psicodrammatista e psicanalista argentino, dirige a Buenos Aires l’Istituto de la Mascara, all’interno del quale viene svolta attività terapeutica e formativa con tecniche corporee ed espressive. Nel suo lavoro utilizza una modalità che lui stesso definisce «psicodrammatica, smascherante, corporea, psicoanalitica, espressiva» (Poética del Desenmascaramiento, Editorial Planeta, Buenos Aires, pag. 128). E’ membro fondatore della Società Argentina di Psicodramma. Come direttore dell’Istituto de la Mascara dal 1975 sviluppa un lavoro di ricerca sull’uso delle maschere nelle aree della terapia, dell’espressione corporea, del gioco, della formazione e dell’arte. Ha pubblicato numerosi saggi sulla terapia gruppale, lo psicodramma, il lavoro corporeo e le maschere. E’ autore, con Elina
Matoso, del libro La maschera della maschera. Esperienza di espressione corporea terapeutica. Nel 1993 pubblica Poetica dello smascheramento. Cammino della cura e nel 2001 Poetica della cura. Svolge attività di terapia, supervisione e formazione. Nell’area artistica ha messo in scena opere teatrali con l’utilizzo delle maschere, delle qualiè autore e regista. Ha partecipato a numerosi incontri e congressi nazionali e internazionali.
(2) ELINA MATOSO, laureata in lettere presso l’Università di Buenos Aires (U.B.A.), coordinatrice di terapie corporee, dirige, con il Dott. M. Buchbinder, l’Istituto della Maschera; è professoressa titolare della cattedra di «Teoria generale del movimento» nel corso di laurea in Arte della U.B.A. e titolare della cattedra di Espressione Corporea nel corso di laurea in Psicologia dell’Università Aperta Interamericana (U.A.I.).
(3) Mario J. Buchbinder, Poética del Desenmascaramiento, Editorial Planeta, Buenos Aires, 1993.
(4) Mario J. Buchbinder, Poética de la cura, Editorial Letra Viva, Buenos Aires, 2001.